ANDATA E RITORNO DA UN OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO – la storia di Artskin

Ve l’avevamo promessa da un po’… e ora è finalmente arrivata. La storia raccontata dal suo protagonista di uno dei tanti scorci bui d’Italia. Un ragazzo giovanissimo recluso in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario – i vecchi manicomi criminali – e che ha avuto la forza e la temperanza per uscirne, sano!

Una volta fuori è riuscito a rimettersi in gioco, a riprendersi la propria vita tra le mani aggrappandosi all’unica cosa che nessuno gli ha potuto mai togliere: il suo talento per il disegno e in particolare per i tatuaggi. In ognuno dei suoi lavori si riesce a scorgere un pizzico del suo passato e del suo viaggio che è pronto a farvi scoprire.

«Per questa intervista ho preferito rispondervi in un’unica lettera aperta, che spero francamente non vi annoi troppo. Mi chiamo Federico Nicolaci, in arte Artskin, sono un tatuatore di quasi 29 anni e ringrazio di cuore di essere stato internato nel manicomio criminale di Castiglione delle Stiviere.

Grazie a questo paragrafo della mia vita ora sono rinato. Ho imparato che non bisogna mai giudicare un fatto dalle parole di una giornalista. Ho capito perché la gente fortunata è così superficiale. Semplicemente perché si diventa saggi dopo aver sofferto e, se un problema non ti tocca, fidati che sarà molto più facile fregarsene. Ma la lezione più grande che io abbia mai appreso è che se intendi raggiungere un obiettivo, qualunque esso sia, se sei determinato e ti impegni con tutto te stesso, ce la farai sicuramente.

“Io uscirò da qui” è stato il primo pensiero che ho avuto quando mi hanno cacciato lì dentro. E ci sono riuscito. Appena entrato lo psichiatra rimase allibito dalla circostanza che io fossi stato portato lì senza referto medico o precedenti penali. Di fatto sarei dovuto uscire entro 48 ore, se non fossero arrivati dei Carabinieri ad interrogarmi. Magicamente, dopo quel breve lasso di tempo, arrivò un fax dal Tribunale di Pavia dichiarando lo “sbadato errore”, ma per pericolo di inquinamento prove (non ho mai capito quali fossero) sarei dovuto rimanere lì dentro sino a fine indagini preliminari.

Mesi in cui devi misurare ogni virgola che ti esce dalla bocca, sorridere compatendo infermieri repressi e raccomandati che provavano in tutti i modi a farti perdere il controllo per poi legarti per giorni mani e piedi sentendosi onnipotenti, rimanere lucidi tartassati da psicofarmaci dal mattino alla sera in mezzo a squallide stanze sporche condivise con veri e propri folli visionari che avevano sgozzato la propria moglie, violentato cadaveri o ucciso a morsi bambini di pochi anni… il tutto contornato da lamenti continui e costanti.

Quel che mi ha tenuto mentalmente in vita è stato cercare di entrare nella testa di ogni singolo personaggio… Devo dire che non molte volte mi è riuscito, ma tentare di fare un viaggio nella pazzia e tornare indietro ti rende molto più forte, anche se il biglietto di ritorno non è garantito.

A farmi trascorrere ore e ore ci ha pensato una scatola di “Caran d’Aches”. Per la prima volta in vita mia presi sul serio il disegno e me stesso. Notai con piacere lo stupore che quei fogli riuscivano a far scaturire negli psichiatri, i malati e tutti quelli che vi lavoravano dentro che facevano a gara per fotocopiarseli per primi… incredibile. Questo mi rendeva orgoglioso. In particolare il mio psichiatra, uno dei più famosi in Italia, Antonio Esti, ancor prima di farmeli finire esigeva tutti gli originali per lui, da appendere nel suo studio privato fuori dall’Opg. Facevo solo in tempo a scannerizzarli per farli postare sulla pagina di Facebook a me dedicata. Centinaia di iscritti che sapevano della mia situazione, decine di commenti che urlavano di farmi uscire… Esti si era accorto che non stavo fingendo… ero un “pazzo buono” e soprattutto ero troppo esposto alla luce per rimanere in mezzo a gente dimenticata da Dio, anche se non ritengo giusto considerarmi fortunato in confronto a loro per questo.

Vi posso garantire che molti sono solo poveracci che non hanno combinato granché. Finiti lì per sfiga e che non hanno la fortuna di esser reintegrati in famiglia semplicemente perché una famiglia non ce l’hanno da anni, oppure preferiscono approfittare della loro pensione di invalidità mentale (so che sembra irreale). Un ergastolo bianco, obbligati a sopravvivere come cavie umane al servizio di potenti industrie farmaceutiche che dovrebbero altrimenti aspettare decenni per capire gli effetti devastanti delle loro porcherie chimiche… e ogni tanto qualcuno ci lascia le penne, ma nessuno viene a scoprirlo e qualche ambulanza per caso si trova davanti al cancello dell’OPG ad attendere che il pazzo dimenticato da Dio tiri le cuoia del tutto.

Se qualche lettore starà pensando che gente come pedofili e violentatori meritino questa fine… abbraccio questa causa! Il problema è che, io come altri, non facciamo parte di quello schifo. Diciamo solo che le accuse a mio carico non sarebbero valse a nulla se non fosse stato fatto emergere nel calderone generale la mia “piccola passione” per… i veicoli non convenzionali e non terrestri, ma contando che milioni di persone credono in Gesù, ritengo di essere assolutamente nella norma.

Ho dato fuoco a casa di mia madre, ero accusato di tre tentati omicidi, incendio doloso, estorsione e altre cose. Ma la verità è che volevo metterla alle strette, per una volta farla sentire impotente come lei ha sempre fatto con me per tutta la vita. In quel momento non realizzavo nemmeno cosa stesse succedendo. Meritavo di pagarla. Punto. Potendo tornare indietro… Ma ora non importa, l’ho perdonata! Ormai ho la mia vita, una donna, una casa, un lavoro. Di mia madre mi porto dentro solo la passione per il disegno. 

Comunque uscito da lì impiegai i primi tempi a smetter da solo di assumere psicofarmaci buttandoli tutti nella pattumiera, quando di solito si scala la dose per mesi e mesi: è stato terribile. Per settimane non distinguevo i sogni dalla realtà e sognavo di essere ancora internato quando ero a casa nel letto, o forse sognavo dentro di esser libero per poi risvegliarmi lì? Un gran caos. Ma mi sono ripreso subito e ho sfogato la rabbia nel mio lavoro, rendendomi conto che amo mettermi alla prova ogni giorno e cercare di superarmi, di non esser mai soddisfatto dei miei lavori.

Il tatuaggio per me è solo un’espressione d’arte: se mi pagassero per fare statue o quadri per me non farebbe nessuna differenza, ma è andata così. In questo campo gli esaltati che si sopravvalutano sono molti e ancora di più i ragazzini che rovinano le persone solo per guadagnare qualcosa senza rimorsi. Incanalo tutte le mie esperienze e la determinazione in questo. Provo tristezza per gli arroganti perché il loro ego non gli consentirà mai di crescere e se solo si rendessero conto di quanto siamo piccoli si renderebbero conto della loro pateticità e dei loro limiti.

Io tatuo da ormai dieci anni e in passato ho avuto la fortuna e l’onore di essere l’apprendista di una delle migliori tatuatrici al mondo, Genziana Cocco, che collabora da anni con gente del livello di Poul Booth, la famiglia Leu e Shige. Il mio sogno ora è entrare a far parte dei migliori, coi fatti e con poche chiacchiere; di quelle per oggi ne ho già fatte abbastanza. Riuscirò? Devo riuscirci. Perché? Perché sono veramente incazzato. Punto».

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