INELEGGIBILITA’ E COSIDDETTA LEGGE ANTI MOVIMENTI – PAROLA AI GIOVANI

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Terminato il primo turno delle elezioni amministrative dello scorso fine settimana e in attesa dei numerosi ballottaggi previsti per il 9 e il 10 giugno prossimi, sono tornati caldi due “tormentoni” che stanno tenendo banco nei palazzi romani in questi giorni: l’ineleggibilità di Silvio Berlusconi e il disegno di legge Finocchiaro, Zanda, Latorre, Casson, Pegorer, in materia di democrazia interna e trasparenza nei partiti politici, subito etichettata dalla stampa come legge anti movimenti. Abbiamo chiesto di approfondire questi temi strettamente connessi a due giovani impegnati – rispettivamente a sinistra e a destra – in politica, Giacomo Galazzo e Niccolò Fraschini, che proveranno, in sequenza rigorosamente chiastica, a chiarirci un poco le idee.

lorenzo meazza

Si parla anzitutto di due questioni molto diverse.
 Il ddl Zanda-Finocchiaro non è altro che la legge sui partiti annunciata da Bersani decine di volte in campagna elettorale (senza che mosca volasse!): si vorrebbero fissare alcuni criteri di democrazia interna, trasparenza, diritti e doveri degli iscritti, pari opportunità negli organismi dirigenti, eventuale funzionamento delle primarie (eccetera) per le formazioni politiche che si candidano alle elezioni. Per attuare finalmente l’art. 49 Cost., che prescrive per i partiti politici il “metodo democratico”. A me sembra un provvedimento opportuno, non a caso è stato menzionato anche nella Relazione riforme istituzionali del Gruppo di lavoro istituito dal Presidente Napolitano (i “Saggi”); leggi simili, inoltre, esistono anche in altri Paesi europei. Per quanto io debba concedere che su una proposta così importante la comunicazione avrebbe dovuto essere molto migliore (queste cose andavano spiegate meglio), l’affermazione che questa sarebbe una legge anti-Grillo non è sostenibile.

La seconda è una questione giuridica impropriamente trasformata in questione politica: si tratta di verificare se a Berlusconi si applica una norma del ‘57, che secondo alcuni ne causerebbe l’ineleggibilità al Senato, in quanto concessionario dello Stato. La risposta al quesito non è affatto scontata e, per quanto ciò sia difficile vista la situazione politica, questa è una discussione che dovrebbe rimanere nell’ambito giuridico. In via generale, piuttosto, ciò mi dà l’occasione per segnalare un intervento che io ritengo molto importante. Torno a citare la relazione dei “Saggi”, in particolare questo passaggio: «In base all’art. 66 della Costituzione, in conformità ad una tradizione storica risalente, ma ormai priva di giustificazione, il giudizio finale sui titoli di ammissione dei membri del Parlamento (legittimità dell’elezione, ineleggibilità e incompatibilità) spetta a 
ciascuna Camera con riguardo ai propri membri; pertanto le relative controversie non hanno un vero giudice e le Camere sono chiamate a decidere in causa propria, con evidenti rischi del prevalere di logiche politiche. Si propone di modificare l’art. 66 
attribuendo tale competenza ad un giudice indipendente e imparziale». Per me questa è una riforma da fare subito. Così come ritengo essenziale una legge sul conflitto d’interessi, per evitare che in futuro casi del genere possano ripetersi.

giacomo galazzo

I soloni della sinistra cercano, nella loro malafede, di nascondere sotto le tecnicalità giuridiche la vera motivazione che li ha spinti a chiedere di verificare l’eleggibilità di Berlusconi. Anche al più fanatico dei berlusconiani (quale io non sono più da anni) è evidente che vi sono precise norme in materia di ineleggibilità dei condannati all’interdizione dai pubblici uffici. Tuttavia sembra inopportuno che siano gli avversari politici di Berlusconi a chiedere di verificare i criteri di eleggibilità del Cavaliere. È chiara la frustrazione di un’area del PD che, dopo l’ennesima sconfitta elettorale (perdere delle elezioni già vinte in partenza equivale a una sconfitta), avendo smarrito le speranze di sconfiggere Berlusconi ‘sul campo’, cerca la scorciatoia di squalificare l’avversario di sempre. Insomma, questo partito di Democratico sembra avere poco e l’unico a cantare fuori dal coro dei frustrati (Renzi) pare essere la tipica vox clamans in deserto, quasi accusato di tradimento. Mi sia consentita una battuta finale: il tentativo del PD ricorda maldestramente ciò che fece l’Inter nel 2006 con Calciopoli (o, forse, meglio chiamarla Farsopoli): ottenere nei tribunali le vittorie che non si riesce ad ottenere nella competizione.

Il ddl Finocchiaro, volto a impedire la candidabilità dei movimenti, appare una continuazione logica di quanto già espresso, ma applicato a quello che pare l’avversario di oggi, ovvero il M5S di Beppe Grillo: anche in questo caso, quindi, emerge la tendenza della sinistra italiana a volersi scegliere gli avversari attraverso leggi contra personam. Tuttavia, in questo caso andrebbe approfondita la questione, poiché oggettivamente da anni l’Italia attende una legge organica che dia un quadro normativo certo riguardante i partiti: criteri di candidabilità (vedi movimenti neofascisti da proibire ecc.), finanziamento, democrazia interna. Allo stesso modo vi sarebbe necessità di una legge che inquadri la rappresentanza sindacale, ponendo fine al far west che fa sì che sindacati e partiti non siano, di fatto, tenuti a presentare un bilancio certificato.

niccolò fraschini

 

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