GLI SCONTRI SI INASPRISCONO IN TURCHIA: RACCONTI DA ANKARA

photo Kostas Tsironis, Ap/Lapresse

Piazza Taksim è stata sgombrata con la forza, con poliziotti in tenuta antisommossa che si sono scagliati contro le prime file dei manifestanti, blindati dotati di cannoni idranti e lacrimogeni gettati nella folla. La protesta in Turchia – le cui cause sono riportate nella prima parte di questo servizio, che trovate cliccando qui – si sono fin dall’inizio estese in tutte le principali città turche e un nostro amico da Ankara (che ha chiesto l’anonimato) ci ha riportato le sue impressioni direttamente dalla capitale.

l.m.

Prima della protesta di Gezi Park, alcune delle avvisaglie del dissenso si sono manifestate proprio ad Ankara, dove era stata organizzata la “rivolta del bacio”. Le effusioni pubbliche in Turchia sono considerate alla stregua di un gesto offensivo, contrario al buon costume e all’ordine pubblico e così centinaia di ragazzi si sono dati appuntamento in una stazione metropolitana della capitale per esprimere liberamente e alla luce del sole il proprio amore. La polizia, a testimonianza dello spirito di repressione che si sta affermando sempre più da queste parti, ha anticipato tutti, chiudendo la stazione, ma non riuscendo a impedire che la manifestazione si svolgesse comunque fuori dalla stazione.

 

Poi è scoppiato il malcontento per l’urbanizzazione dell’unico parco rimasto nel centro di Istanbul e da fine maggio l’intera Turchia si è riversata nelle piazze per manifestare il forte dissenso contro questa nuova politica repressiva e a tinte totalitariste attuata da Erdogan. I media turchi hanno quasi oscurato del tutto la notizia, facendola trapelare come si trattasse di un isolato caso di disordini causati da alcuni facinorosi, ma in realtà è tutto l’opposto. Anche i social network sono stati bloccati, seppur temporaneamente. Io non possiedo un account Twitter (strumento che il premier Erdogan ha definito una minaccia per la società e un pericolo per la democrazia), ma posso testimoniare che la prima domenica di manifestazione, il 2 giugno, quando ad Ankara era previsto il ritrovo in piazza Kizilay alle 16, Facebook è stato bloccato fino alle 18.

Quello che più mi ha colpito della manifestazione è la sua spontaneità. In un secondo momento partiti politici di opposizione o sindacati hanno provato a cavalcare l’onda, ergendosi a portavoce, ma senza riuscirci. La mattina mi sveglio – abito in una via centrale della capitale – e trovo gli spazzini che puliscono la strada, poi a partire dalle 17, quando si finisce di lavorare, la gente si riversa nelle piazze a protestare, la gente sui balconi sbatte le pentole e il tutto prosegue fino a mezzanotte in modo civile, senza rovinare vetrine o incendiare macchine, come è spesso capitato in Italia.

Nelle prime file c’è sicuramente qualcuno che esagera e magari tira qualche sasso, ma la risposta della polizia è sempre stata sproporzionata. Ho visto coi miei occhi decine di poliziotti rincorrere tre ragazzi che fuggivano e lanciargli addosso dei lacrimogeni; ma non dovrebbero servire per disperdere la gente? Oltre a qualche morto, migliaia di feriti e diverse migliaia di arresti (alcuni anche solo per dei semplici tweet di solidarietà), da ieri alcune testimonianze dai social network parlano anche di torture e violenze sessuali della polizia nei confronti di alcuni dei manifestanti fermati (famosa la “ragazza sissignore”, che di fronte all’imposizione di un rapporto sessuale preteso da un poliziotto, sfinita da tutte le sevizie già subite, avrebbe risposto «Yes, sir»)

Ho provato a parlare con molta gente e quello che mi è parso di capire è che queste proteste non sono finalizzate a un capovolgimento totale e a un colpo di Stato come avvenuto per esempio in Egitto o addirittura a una guerra civile, come hanno scritto diverse testate occidentali. L’obiettivo è di ottenere qualcosa a breve termine: un alleggerimento dell’invasività politica di Erdogan e un ritorno a quel sentore di libertà civile che negli ultimi tempi era sostanzialmente venuto meno, anche a causa del pugno duro, troppo duro, col quale la polizia ha represso le manifestazioni.

Se posso permettermi anche un’analisi personale, pur con tutte le differenze del caso, questa situazione politica mi ha permesso di rivalutare i sistemi politici caratterizzati da  bipolarismo e alternanza, tali da permettere, seppur in diverse forme e contesti e con diversi effetti, a tutti di sentirsi rappresentati e non schiacciati da una rappresentanza di parte.

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