Banche e denaro verso il 2014

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Forse non ce ne siamo accorti, ma anche le banche presentano i bilanci. Qualcuno però deve provare a leggerli e a comprenderli per rendersi conto che le istituzioni che spesso hanno potere di vita e di morte sulle aziende e sulle persone fisiche che hanno bisogno di soldi per le loro attività, e che ci chiedono spiegazioni per ogni singola voce del bilancio, presentano bilanci a dir poco allucinanti. Il 18 novembre 2013, pagine 6 e 7, di Corriere Economia, il dottor Stefano Righi ha evidenziato i dati macroeconomici delle prime dodici banche italiane. Ho esaminato attentamente questi dati e ne ho tratto la media e le percentuali.

A parte il fatto che in nove mesi hanno evidenziato un avanzo totale di gestione di 164 milioni (in dodici!), con una media di 15 milioni a testa, la cosa vergognosa (non può essere utilizzata una parola diversa per rendere l’idea) è che a fronte di ricavi lordi per circa 42 miliardi, al 30 settembre 2013, le dodici maggiori banche evidenziano (grazie alla trimestrale) crediti deteriorati per 138,3 miliardi, con un aumento del 22,8% rispetto all’anno precedente.

Secondo la Banca d’Italia, i crediti deteriorati sono non facilmente esigibili, e li distingue ancora in:

Incagli: (o partite incagliate) sono crediti verso soggetti che si trovano in una situazione di obiettiva difficoltà. Ma che si presume contingente e, quindi, superabile in un tempo ragionevole;

Sofferenze: sono crediti verso soggetti che si trovano in stato di obiettiva difficoltà, se non di insolvenza già conclamata, anche se non accertata giudizialmente;

Ristrutturati: (o esposizioni ristrutturate) sono posizioni per le quali le banche creditrici acconsentono a modifiche delle originarie condizioni stipulate (più favorevoli al debitore e che di solito determinano perdite per la banca);

Scaduti: (o esposizioni sconfinanti) esposizioni scadute da oltre 90 giorni se scaduti e da 180 giorni se sconfinati, senza interruzione.

Adesso è evidente che la possibilità di non incassare tutti i crediti sia insita in ogni attività imprenditoriale. Per le banche, in una drammatica situazione economica come quella che stiamo vivendo, è anche più marcata. Con differenze molto vistose perché si passa, sempre rispetto al totale dei ricavi dal minimo (ma sempre notevole) del 108,86% di Credem, al 481,04% di Banca Popolare di Milano, al 1.206,26% di Monte dei Paschi, per finire alla maglia nera di Carige al 1.304,01%. Considerate che se qualcuno di noi avesse l’ardire di presentare conti del genere, l’usciere della banca non ci farebbe neanche entrare per chiedere di parlare con un funzionario. Però, se si interviene e si fa osservare queste cose, la claque (puntuale e numerosa) è quasi pronta allo scontro fisico, perché gli amministratori sono bravi, buoni e belli, e non si può disturbare il conducente durante la manovra.

La cosa interessante dello studio dei bilanci è quella di rendere possibile il confronto, quindi misurarsi con altre realtà uguali, per capire se quanto stiamo esaminando ha la possibilità di essere compresa, spiegata e resa utile per tutti coloro che vi hanno interesse. Lo studio dell’unica attività in alta Val Badia, dove si lavora il pesce, è fine a se stessa, perché non ne esistono di similari per un confronto serio. Quando, invece, si esaminano i bilanci delle prime dodici banche italiane, certamente si ha la possibilità di comprendere molte cose carine.

Con le graduatorie di essere la prima, la seconda o la terza banca, non si ottiene nulla, né ci dà la possibilità di comprare la michetta e il latte. I numeri da esaminare sono certamente i ricavi, i costi, i margini, le rettifiche sui crediti, i crediti deteriorati e il risultato del periodo. La media ci dice che fatti 100 i ricavi, i costi operativi sono 60,02%, il margine operativo lordo è 41,28%, le rettifiche su crediti 30,28%, i crediti deteriorati 324,48% (ebbene sì), e 0,38% il risultato del periodo.

Quando in assemblea si fa presente che:

  • i costi, in media, sono di quattro punti superiori;
  • la rettifica dei crediti è il 23,21%;
  • i crediti deteriorati sono il 370,07%;

apriti cielo.

Qui non si parla più di sana critica per uno che vi ha investito fiori di capitali, ma di attentato di lesa maestà, di colpo di stato, di disturbatore di assemblea, di chi cerca qualcosa (come purtroppo capita, che qualcuno rompe le scatole per poi cambiare registro e continuare a tessere le lodi, magari a pagamento, degli amministratori di turno).

Trarre spunto per vantarsi di avere distribuito un utile, potrebbe trovare conforto se l’importo fosse apprezzabile; se è niente, o quasi, forse è anche un insulto per chi lo deve incassare. Il Corriere ha evidenziato che l’utile di una banca importante sarà addirittura del 20% superiore a quello dell’anno precedente. Ma bisogna prestare attenzione, perché ci si deve ricordare che un numero vicino allo zero, pur elevato all’ennesima potenza, da un risultato sempre vicino allo zero.

Se si è un po’ curioso e sensibile, si possono ottenere indici e dati davvero interessanti, esaminando i bilanci di società che svolgono la stessa attività, e constatare le peggiori, le migliori, le meno buone in questo e in quell’altro. Poi è anche opportuno ricordare agli amministratori delegati che è loro precipuo compito fornire tutte le informazioni necessarie perché i soci (qualcuno l’ha dimenticato, ma sono i soci i proprietari delle società), devono averle non fosse altro perché il codice civile impone di presentare bilanci fedeli e chiari.

Una volta, ricordo, ho impiegato del tempo per far quadrare un’analisi fatta, perché l’estensore non aveva messo il segno meno, alle voci che non dovevano essere sommate, ma sottratte. La risposta dell’amministratore delegato fu che la Banca d’Italia non obbliga a mettere questi dettagli. Siamo in Italia, patria del diritto e dei principi di libertà, ci dicono, ma ognuno si comporta come vuole, e guai a contraddirlo.

Poi si leggono articoli che fanno accapponare la pelle. Il 29 novembre 2013, a pagina 59 del Corriere della Sera, Massimo Gaggi riporta la nuova tendenza di studiosi americani che vorrebbero, per immettere liquidità nel sistema, far corrispondere qualcosa a chi deposita i soldi in banca, anziché essere remunerati. Qualcosa del genere capita anche in Svizzera e in Inghilterra, per cui non ci sarebbe niente di nuovo.

Il primo pensiero è stato: allora prelevo tutto, deposito in una cassetta di sicurezza, provvedo ad aumentare il rischio con un’aggiunta di premio assicurativo, e andrò avanti così. E no, perché i libertari americani pensano che tutti i pagamenti dovranno essere tracciati e che, praticamente, la moneta diventerà solo virtuale. Neanche Mao Tse Tung era riuscito in tanto, e poi lo chiamavano comunista.

Negli USA che, invece, definiamo come la patria della libertà, pensano di attuare una pratica che grida vendetta da tutte le parti. La vita va avanti così, tra gente che ritiene il proprio operato perfetto e indiscutibile e altri che, pur ringraziando per i risultati raggiunti, fanno osservare che, magari, qualcosa di meglio è ancora possibile fare. E non si tratta di vedere il bicchiere mezzo vuoto, ma di far valere i sacrosanti diritti di un investitore che non deve essere preso in giro.

franco de renzo

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