A bright side of The Moon

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Spino – Chitarra e Voce
Charles – Chitarra e Voce
Den – Basso
Piotre – Batteria

Quando alza il ricevitore, la voce di Spino ha un volume basso. Il chitarrista dei The Moon e io siamo entrati in contatto grazie alla sua agenzia e, visto che loro sono di Gemona, un paesino vicino a Udine, l’unica modalità che ci permette di parlare è cercare una connessione video ed è per questo che l’ho chiamato.
Gli sparo subito addosso una serie di indicazioni tecniche per connettersi tramite Hangout, ma mi spiega di non potercela fare. La mia prima intervista telefonica inizia dunque con un “okey” e un momento di silenzio per riprendermi dalla novità.
Tentenno.
Le mie dita non si muovono come solitamente fanno, non sono abituate alla tastiera del PC, ma a carta e penna o alla tastiera di una chitarra.

Spirito Giovane: «Com’è l’ambiente live dalle vostre parti?».

Spino: «I locali preferiscono le cover band e capisco il motivo, sopravvivono facendo introiti sicuri, che vengono da lì. Ci sono webradio e locali che credono nelle band emergenti, ma bisogna anche pensare che il pubblico che va ad ascoltare un gruppo che propone i propri inediti e diverso da quello di una serata di cover. Questo concetto è importante per musicisti che, come me, credono che la musica sia un messaggio».

S.G.: «Un messaggio che per voi è inglese. Perché?».

Spino: «Le prime band che ho ascoltato erano anglofone: tutto deriva da lì. Quando si era ragazzini, anche se non si capivano tutte le parole, la musica ti trasmetteva comunque sensazioni che facevi tue. Noi cerchiamo di avere una melodia che catturi la gente e l’inglese, a mio parere, ha un’ottima musicalità, utile per questo fine».

S.G.: «Ho notato anche una certa schiettezza nei testi».

Spino: «Considera che noi non ricerchiamo un messaggio poetico, ma uno emotivo. Così come accadeva a me quando finivo di ascoltare una canzone da giovane, io voglio che la mia musica combatta il malessere. Questo non significa che non si possano trasmettere anche altre emozioni, come la rabbia o la disperazione, ma se prendi in considerazione un gruppo come i Nirvana, le loro canzoni terminavano comunque con la possibilità di sperare in qualcosa di migliore. Molto dipende anche da come trasmetti il messaggio».

the moonS.G.: «E per voi il tramite è la melodia».

Spino: «Sì, fa parte del processo e si collega al discorso sulla speranza: è come avere un mantra che ti ipnotizza e ti da sollievo».
S.G.: «E le vostre sonorità da dove vengono?».
Spino: «Io e l’altro chitarrista del gruppo, Charles, siamo i compositori, il genere fu scelto fin dall’inizio. Piotre, il batterista, e Den, il bassista, influiscono in maniera minore, ma danno comunque una sferzata ai pezzi, inserendo sonorità che vengono dai generi che hanno incontrato nella loro esperienza personale, come il punk o il grunge.

S.G.: «Credi che il british rock possa ancora dire qualcosa?».
A differenza dei generi che ho citato, ormai del passato, credo che il british rock sia attuale e le sue sonorità e melodie non siano bianco e nero, ma una scala di grigi: posso passare da chitarre molto distorte a leggeri arpeggi, posso spaziare nella costruzione delle atmosfere e nei caratteri degli strumenti».
S.G.: «So che è in uscita l’album Waiting for Yourself, il secondo della vostra carriera».

Spino: «Già, abbiamo fatto un primo album, Lunatics, nel 2010. All’interno c’erano però tre canzoni che avevamo già inciso in un demo, nel 2007, quando eravamo ancora un trio. Con Lunatics abbiamo avuto un buon riscontro, un nostro brano è diventato anche la sigla del programma Demo di RaiRadio1. Il nuovo album ha una nuova etichetta, la Seahorse Records, ed è distribuito fisicamente da The Orchard e digitalmente da Audioglob».

S.G.: «Una buona scuderia editoriale».

Spino: «Sì, siamo molto contenti di questo! Abbiamo già fatto un tour di presentazione dalle nostre parti, continueremo con altre date di promozione per la nostra agency. Voglio sottlineare però che la creazione dell’album e la ricerca delle date si deve anche a noi. Soprattutto c’è stata la possibilità di ricavare soldi e contatti dalle esperienze vissute. Non dico che ci siamo autofinanziati, perché abbiamo anche avuto qualche sponsor, ma buona parte del progetto è nostro anche nei finanziamenti e nei ritmi di lavoro, che non avevano data di scadenza: semplicemente abbiamo composto fino ad essere soddisfatti».

S.G.: «Per il video di Make it in the easy way you know di chi vi siete avvalsi?».

Spino: «Abbiamo collaborato con un gruppo di ragazzi del nostro paese, che già ci avevano aiutato con il video di Rose in the land of tears del nostro primo album. Avevamo alcune idee iniziali e uno storyboard dettagliato, che poi si è sviluppato in qualcosa di differente una volta iniziato a girare».
S.G.: «Un video con marcato umorismo, molto autoironico».

Spino: «Precisamente. Distante da quello che era il video precedente, ma non intenzionalmente. Il titolo della canzone comunque è serio e il video si basa su idee che sono nate durante il processo creativo».

S.G.: «Domanda di rito: vi descrivereste come spiriti giovani o spiriti coraggiosi».

Spino: «Spiriti giovani, senz’altro. Non pensiamo né al tempo, né allo spazio, creiamo al di là di questo. Inoltre per me il coraggio si dimostra contro ciò che fa paura, e la musica non ne fa. Giovani anche perché sappiamo emozionarci ancora dopo tanto tempo, come per la Battle of the Bands a cui partecipiamo: speriamo tramite questa iniziativa di partecipare al Rock Rising Tour, che porta alcune band in giro per gli Hard Rock Café di tutta Italia. Siamo elettrizzati!».

L’ultima risposta anticipa la mia classica domanda finale. Dopo qualche chiacchiera da musicisti, ci salutiamo e rimango solo con il file bianco di word.
Tentenno.
Forse perché quel foglio bianco e luminoso, rappresenta meglio di mille parole quello che sono i
The Moon.
Poi la realtà ricomincia a scorrere, le mie dita si ricordano come si scrive e la responsabilità di comunicare s’impadronisce delle mie mani, così come è solito accadere sul manico di una chitarra.

Spirito Giovane

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