Manierismo, un’ epoca raccontata con le opere dei suoi protagonisti: Rosso Fiorentino e Iacopo Pontormo

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Bacco, Venere e Amore – Rosso Fiorentino

L’eco delle scosse sociali del ‘500 risuona ancora oggi sfogliando la biografia di un qualsiasi artista dell’epoca. Ma, ancora meglio, le testimonianze più vivide del secolo della Controriforma, nata dal Concilio di Trento tra il 1545 e il 1563, si possono trovare nelle opere stesse di quei pittori innovativi che resero unico il celebre periodo del Manierismo.

Disprezzati per anni fino al ‘900, essi riproponevano nei propri dipinti gli insegnamenti dei più importanti maestri del Rinascimento (quali Michelangelo, Leonardo e Raffaello) aggiungendo una forte impronta personale.

É il caso di due nomi fondamentali del XVI secolo, quali Rosso Fiorentino, al secolo Giovanni Battista di Iacopo, e Iacopo Carucci, detto Pontormo, entrambi allievi della scuola toscana e di Andrea del Sarto. Questi artisti, pur essendo differenti nel loro stile pittorico e figurativo, rappresentano bene il prototipo di artista manierista: dotato di virtuosismo, tendente al bizzarro e maniaco dei decorativi, oltre che amante dell’eclettismo e solito a omaggiare miti come i grandi protagonisti della cultura dei secoli precedenti.

Rosso_Fiorentino_-_Descent_from_the_Cross_uaumagLo si vede bene confrontando due loro opere celebri, ritraenti la medesima scena: “La Deposizione di Volterra” di Rosso Fiorentino (foto sopra, ndr) e la “Deposizione” della Cappella Capponi di Pontormo (foto sotto, ndr).

Jacopo_Pontormo_-_Deposition_-_uaumagIn entrambi le opere il soggetto è religioso. I due artisti hanno rappresentato il momento in cui il corpo di Cristo viene calato dalla croce: sia gli stili che il significato che attribuiscono all’evento sono diversi.

Innanzitutto bisogna parlare dei committenti: Iacopo realizzo questa sua opera per la Cappella della Croce di giorno, annessa alla chiesa di San Francesco a Volterra, oggi in  provincia di Pisa, nel 1521. La dipinse con olio su tavola e oggi è conservata nella Pinacoteca Civica; Pontormo fu incaricato, invece, dal banchiere Ludovico di Gino Capponi di decorare la propria cappella annessa alla chiesa di Santa Felicita a Firenze nel 1526 (i lavori finiranno nel ’28). Oggi il dipinto, anch’esso realizzato con olio su tavola, è ancora custodito nel luogo originario.

Ci troviamo, quindi, in Toscana e le due opere sono state create a pochi anni di distanza. La tragedia del sacco di Roma (perpetrato dai Lanzichenecchi nel 1527) non è ancora avvenuta né tanto meno il Concilio di Trento, che segnerà la fine del Manierismo.

I due artisti possono dar vita a una loro interpretazione delle opere del passato. Così, ad esempio, Rosso Fiorentino reinterpreta il concetto di morte e stravolge il significato di salvezza, così come concepito da Michelangelo nel “La pietà”. Ispirato al racconto del Vangelo di San Matteo, l’autore costruisce sulla croce, al centro della tavola, un triangolo che regge l’intera opera. Ai suoi lati, parallele, le scale che sostengono gli uomini incaricarti di liberare il Cristo dei chiodi tagliano in verticale il dipinto. Nel mezzo l’autore divide i personaggi i tre registri: in fondo troviamo la Madonna sostenuta da due pie donne e abbracciata alle gambe dalla Maddalena, entrambe in preda al dolore. A sinistra ci sono San Giovanni Battista e un giovanetto che regge la scala; più in alto ci sono altri uomini intenti a portare giù Cristo, segnato dal colore della morte, e nei loro gesti si legge la difficoltà dell’operazione; infine sopra la croce, troviamo la figura grottesca di Nicodemo, con un volto di estrema bruttezza e fisicamente proporzionato, mentre guarda verso il basso.

Se per Rosso Fiorentino la morte ha un senso di profondo dolore, così non è per Iacopo Carrucci. Egli infatti non dipinge propriamente la deposizione, quanto il compianto di Gesù dopo esser stato riportato a terra e gli conferisce un significato diverso.

In questa opera di Pontormo la struttura è completamente differente: linee spezzate tagliano in verticale l’opera, da sinistra a destra, mentre un insieme di cerchi e ovali riempiono il piano superiore. Le analogie con il “Trasporto del Cristo morto”, nella Pala Baglioni di Raffaello (1506), sono subito evidenti in questo dipinto. Pontormo ha utilizzato molto la luce (ispirandosi al cangiantismo di Michelangelo) portandola all’estremo con la visione astratta e abbagliante. La chiarezza dei personaggi è così accentuata da renderli leggeri, come la nuvola alle loro spalle. Le persone rappresentate vestono flebili sfumature di blu e rosa che, unite alle tonalità della pelle, non gli donano alcuna profondità. Al contrario dell’altro dipinto, dove i giochi di ombre e i colori accesi rendono la plasticità dei personaggi, soprattutto nel caso della Maddalena e di San Giovanni. Se, però, nel piano inferiore essi assomigliano a immobili e silenziose statue dolenti, in quello superiore regna l’affanno, causato dall’equilibrio precario sulle scale, in contrapposizione al corpo privo di vita di Gesù.

Nella Deposizione di Volterra, invece, è centrale in movimento rotatorio in cui tutti sono coinvolti, Cristo compreso, che Pontormo attinse dal “Tondo Doni” di Michelangelo (foto sotto, ndr).

Michelangelo_Buonarroti_uaumagPer Pontormo la morte diventa un simbolo di salvezza, una rinascita che si avvicina di più alla visione Michelangiolesca che a quella di Rosso Fiorentino.

Questi due grandi artisti non furono certo gli unici rappresentati del Manierismo toscano o italiano, ma le opere che ci hanno regalato sono fra le più preziose e significative dell’epoca.

Gli artisti manieristi furono considerati di poco conto nei secoli scorsi, blasfemi per la Controriforma, soltanto perché vollero rappresentare con occhi propri i grandi esempi del passato. Se ciò si avvicina al genio, loro lo erano sicuramente.

timothy dissegna

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