Tra gotico e leggenda: San Galgano e la sua basilica senza tetto

WP_20150101_029uau

La Toscana è stata, per secoli, una culla di tantissimi generi artistici diversi. Qui sono nate correnti, sono cresciuti artisti che hanno rivoluzionato la cultura, si sono sviluppate arti in modo totalmente unico rispetto al resto del mondo. Ne è un esempio il gotico – portato dalla Francia in questa regione dai monaci cistercensi – che ha assunto caratteri particolarissimi rispetto a oltralpe: da Siena a Firenze, le basiliche costruite con questa tipologia architettonica meravigliano persone da tutto il mondo.

Scenograficamente incredibile e visibilissima tra le colline della zona, la basilica di San Galgano (dedicata al cavaliere chiusdinese Galgano Guidotti che si convertì, abbandonando le armi) a Chiusdino (SI) è la prima edificata in Italia, tra il 1218 e il 1288 per volere dei monaci cistercensi di Casamari, oggi in provincia di Frosinone. All’epoca, essi si stanziarono vicino al fiume Merse e alla Maremma, per questo la chiesa fu edificata in questa posizione ed essa da il nome alla zona lì attorno.

San Galgano visse in pace fino al 1329, anno di una terribile carestia, seguita nel 1348 dalla peste che Boccaccio raccontò nel suo Decameron. Le scorribande di vari eserciti, poi, con relativi saccheggi contribuirono a mettere in ginocchio la comunità. I drammi continuarono per molti anni, tanto che l’intero territorio dell’abbazia venne distrutto dal passaggio di mercenari, fino al XV secolo quando i monaci fecero i “bagagli” e si trasferirono a Siena.

Chi arriva in questo luogo, comunque, è colpito sicuramente da un piccolo particolare dell’insieme: non c’è il tetto. Già da lontano, infatti, questo gigante medioevale colpisce l’occhio dell’osservatore per la completa assenza di coperture e vetri, che secondo la tradizione sarebbero stati venduti dai monaci dopo la loro partenza. In realtà, nel 1786 un fulmine colpì il campanile che, crollando, sfondò il tetto dell’abbazia. La chiesa fu poi sconsacrata nel 1789.

Certo è che questa sua caratteristica rende pressoché incredibile questo edificio. All’interno c’è come una magia, un’aria diversa che si mescola al freddo di dicembre e vola tra le colonne, in mezzo alle navate, riempiendo ogni anfratto. Oggi è visitabile, pagando un biglietto d’ingresso, e si entra da uno Scriptorium, il luogo che un tempo era riservato al lavoro degli amanuensi e trasformato in Info Point. Superato il chiostro e la Sala Capitolare, si accede al transetto destro e di fronte ci si trova uno spettacolo senza paragoni.

Non ci sono tanti paroloni per descrivere, se non dicendo che la basilica è completamente spoglia. Nessun dipinto, vetro, ornamento di alcun genere: praticamente tutto il contrario del gotico, ricco di rilievi, dipinti, uno stile possente per rappresentare la grandezza di Dio, a confronto con l’uomo. Serie di luci interrate, in riga dall’abside fino al portone d’ingresso principale chiuso, illuminano la navata centrale con colori diversi che si alternano.

I flash delle macchine fotografiche si alternano con le grida festose dei bambini che corrono dovunque, mentre alcuni osservano con il naso all’insù il cielo terso, prossimo ad accogliere la luna e così strano da vedersi in una chiesa. Soprattutto se gotica, celebri perché cupe e tenebrose, testimonianza del pesante timore della collera divina in situazioni come la peste e la carestia durante il Medioevo.

Altrettanto caratteristico è l’eremo di Montesiepi, distante poche centinaia di metri, in alto, dalla basilica e ancora più antico, essendo stato costruito già nel 1185. La sua collocazione non è casuale: sorge, infatti, sul colle dove il santo Galgano si ritirò come eremita. Gli spazi, qui, sono piuttosto angusti ma l’altezza notevole del tetto della cappella, dipinto a cerchi concentrici, da un’idea di ascesa che ne aumenta le dimensioni.

Dopo il pronao si accede nella chiesetta al cui centro è presente la spada di Guidotti, protetta da una teca e infissa da egli stesso su un masso come segno di conversione alla pace. Sulla sinistra si accede a una cappellina del XIV secolo, affrescata dal pittore senese Ambrogio Lorenzetti. Dall’esterno, invece, si accede al convento, edificato nel XIII secolo.

In mezzo al nulla, apparentemente, si ergono due veri e propri pilastri di storia. Non solo di Chiusdino, non solo della Toscana, ma dell’Italia intera (se non europea) poiché il gotico ebbe una diffusione pressoché continentale. E soprattutto raccontano vicende di tempi lontanissimi, di cavalieri e monaci. Tutti sotto lo stesso tetto, più o meno.

timothy dissegna

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *