ISLAM A PAVIA – INTERVISTA DOPPIA GALAZZO/MOGNASCHI

In queste settimane è fervente il dibattito in relazione a una richiesta della Comunità Islamica di Pavia di ottenere i permessi per costruire un centro di preghiera più ampio rispetto a quelli già esistenti sul territorio. C’è chi dice sì, come chi ribadisce il proprio secco rifiuto. Per chiarirvi le idee abbiamo pensato a un’intervista doppia a due giovanissimi esponenti politici del territorio: Giacomo Galazzo, consigliere provinciale del Pd e Matteo Mognaschi, capogruppo dei consiglieri comunali della Lega.

Innanzitutto ragazzi, qual è la situazione “logistica” attuale dei fedeli mussulmani a Pavia?

G.: «Mi risulta che attualmente si ritrovino in una struttura in zona Viale Campari, che è però insufficiente per le esigenze di una comunità in continua crescita».

M.: «Al momento ci sono 3-4 centri di culto di piccole dimensioni, tranne uno, che è quello di via Villa Eleonora, che è di dimensioni un po’ più grandi e già in passato ha creato problemi coi residenti. Ce ne siamo interessati e la situazione da qualche tempo sembrerebbe un po’ più tranquilla».

Sono avviso legittime le loro richieste?

G.: «Avere un luogo adeguato dove pregare è fondamentale perché il diritto previsto dall’art. 19 della Costituzione, che tutela il diritto di ognuno a professare la propria religione “in forma individuale o associata”, non resti lettera morta. Quindi sono richieste del tutto legittime».

M.: «Siamo in democrazia e chiunque può chiedere. Domandare è lecito, anche se in questo caso vedo grossi rischi a realizzare la loro richiesta ».

Quanto è prioritaria la concessione di un permesso a costruire un centro di preghiera più grande?

G.: «Non mi sembra di una questione da affrontare con l’argomento della priorità. Mi spiego: un discorso di priorità si può fare nel momento in cui c’è una richiesta di contributo finanziario. Al contrario mi risulta che la Comunità islamica non abbia chiesto un euro al Comune, ma solo il permesso di costruire un centro per il quale si impegna a reperire da sé i finanziamenti. Quindi non è questione di priorità, ma di volontà politica. Non sto dicendo che il Comune dovrebbe tirare fuori un milione di euro per il centro islamico, perché questo non è possibile e perché non sarebbe nemmeno giusto, visto che poi dovrebbe fare altrettanto per tutte le richieste analoghe. Ma l’intervento è autofinanziato e la cosa riduce alla volontà politica, con la conseguente assunzione di responsabilità».

M.: «In un momento di crisi, di forte disoccupazione e di problematiche sociali che stanno esplodendo, direi che la priorità a un progetto del genere da 0 a 10 è 0. La gente ci chiede altre cose  ».

La mancanza di reciprocità della libertà di culto, presente in molti paesi islamici, deve essere un pretesto di “vendetta”, oppure uno stimolo all’apertura ideologica?

G.: «Al contrario. Compito delle democrazie mature (o presunte tali) è proprio quello di essere guida ed esempio per gli ordinamenti che sono “più indietro”. E poi siamo in Italia, e devono valere i diritti riconosciuti dall’ordinamento italiano, tra cui la libertà di culto (art. 19 Cost.)».

M.: «La mancanza di reciprocità è un fatto oggettivo, non un’opinione politica. Se un mio conoscente non mi invitasse mai a casa sua, perché dovrei farlo io? Partendo da questo presupposto non possiamo fare finta di niente, e dobbiamo comportarci di conseguenza ».

Quando la tolleranza in queste situazioni può rischiare di sfociare in buonismo?

G.: «Non è questione di buonismo, è questione di diritti, è un altro discorso».

M.: «La tolleranza in Italia equivale quasi sempre al buonismo. La tolleranza in altri paesi occidentali, che in tema di immigrazione sono molto più avanti di noi, si fa facendo innanzitutto rispettare le regole del paese ospitante. Qui in Italia, paese molto “stravagante”, la tolleranza di fatto è la tolleranza dei cittadini stranieri nei confronti degli italiani e basti vedere molti quartieri dove già adesso gli italiani sono ospiti più che padroni di casa ».

Un centro di preghiera potrebbe portare all’insediamento di un vero e proprio centro culturale islamico?

G.: «Se fosse? Ogni centro culturale che svolge le sue attività nel rispetto delle leggi dello Stato deve avere libertà di esistere. Un amministratore pubblico non dovrebbe permettersi di dire quali culture vadano bene e quali no. Se poi in un centro culturale si commettono dei reati, ci sono polizia e magistratura».

M.: «Premetto che da un punto di vista normativo i centri di culto e i centri culturali sono stati equiparati, almeno in Lombardia. E questo proprio perché le moschee diventano sempre luoghi per fare altro oltre che pregare e finiscono per diventare una città nella città. Con conseguenze immaginabili: crollo del valore degli immobili, quartieri-ghetto che sorgeranno attorno a questo nucleo e zone franche ».

Quali rischi e quali opportunità potrebbero crearsi da un centro islamico?

G.: «Rimando alla risposta precedente. Se un centro islamico svolgesse le sue attività nel rispetto delle leggi dello Stato (cosa di cui non vedo perché dubitare), non vedo rischi. Vedo anzi l’opportunità di dare un opportunità di socializzazione in più a tutti i musulmani per bene di Pavia e di isolare quelli che hanno cattive intenzioni».

M.: «Nessuna opportunità e tantissimi rischi. Come detto precedentemente rischiamo di creare una città nella città, al di fuori di qualsiasi regola. Basti pensare che l’imam islamico è un’autorità civile oltre che religiosa… questo basta per far capire cosa intendano gli islamici quando parlano di costruire luoghi di culto: vogliono ricreare la loro società nella nostra società, ghettizzandosi ».

Come si possono prevenire gli eventuali rischi e alimentare le potenziali possibilità?

G.: «Ripeto, nel caso in cui in un qualsiasi centro culturale si commettano attività illecite, ci sono la polizia e la magistratura. Ma non è tanto la questione del centro islamico, o di quello buddista. Il discorso dei puntiprecedenti vale per tutti i centri culturali espressivi di tutte le culture».

M.: «Io penso, innanzitutto, che non si debba pensare a nuovi luoghi di culto rispetto agli attuali. Questo è l’unico modo per evitare ulteriori rischi. Sono molto scettico sul fatto che un nuovo centro di culto possa creare opportunità: magari le creerà a chi gli vende il terreno, ma non ai residenti e ai cittadini comuni!».

Capitolo prettamente “strategico”: la proposta della comunità islamica di erigere il loro centro di preghiera nei pressi del cimitero la trovi come una sfida o mancanza di rispetto? Perché?

G.: «Personalmente non mi offende assolutamente. Non vedo, infatti, il rapporto tra la religione cattolica e quella islamica (se è questo che la domanda intende) come quello di due realtà in scontro tra di esse. Ugualmente, se l’Amministrazione si accorgesse che questo crea per qualche motivi disagio ai cittadini, di fronte a un intervento autofinanziato trovo che avrebbe il dovere di cercare un altro luogo adeguato».

M.: «La proposta di costruire una moschea proprio di fronte al cimitero maggiore di Pavia e su un terreno che è grosso 2-3 volte la superficie su cui sorge il Duomo di Pavia è eloquente e parla molto di più di tante parole: evidentemente è una mancanza di rispetto e non aggiungo altre dietrologie. Mi permetto solo di far notare che a Roma, centro nevralgico del cattolicesimo, sorge la moschea più grande d’Europa. E anche lì non si può parlare di caso».

lorenzo meazza

  1 comment for “ISLAM A PAVIA – INTERVISTA DOPPIA GALAZZO/MOGNASCHI

  1. Claudio
    31 gennaio 2012 at 21:05

    Definire l’Italia una democrazia matura ………..lasciamo perdere. A proposito di reciprocita’, invito i “buonisti” a recarsi, per lavoro, in Algeria e Libia e poi vediamo se mantengono la stessa opinione.

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